mercoledì 27 agosto 2008

La saison du pardon


Piccola meraviglia del silenzio, "Daratt" (stagione secca/ stagione del perdono) di Mahamat-Saleh Haroun narra la storia di Atim ("l'orfano"), un giovane del Ciad, mandato da suo nonno nella capitale a vendicare la morte del padre ucciso da un misterioso "lui" che il ragazzo deve prima cercare.

In città, Atim troverà il colpevole ma non riuscirà mai ad ucciderlo perché l'uomo individuato, sarà sì responsabile della morte del padre, ma diventa piano piano anche il maestro del ragazzo, insegnandogli un mestiere (quello della vita: panettiere), e forse pure l'amore, l'apertura dell'anima, l'importanza del lavoro fatto bene. Atim trova così nell'uomo che gli levato il padre, un nuovo padre, disponibile ad adottarlo anche perché all'oscuro dei veri motivi per cui quel ragazzo un giorno ha bussato alla sua porta. Incapace di uccidere il maestro, il ragazzo decide di portarlo direttamente al nonno il quale chiede ad Atim di ucciderlo. Il nonno però, essendo cieco, non si rende conto del fatto che il nipote ha sparato nell'aria, risparmiando l'uomo, dimostrando così di averlo perdonato.

Il film si snoda in splendidi silenzi violenti dove un solo sguardo, una sola risata sono capaci di dare valore ad un'intera ora di narrativa lenta (si tratta pur sempre di cinema africano) a colori. Il padre adottivo di Atim può parlare solo grazie ad una macchinetta che appoggia alla gola ed Atim stesso pesa le proprie parole ad ogni immagine: aspettiamo così i dialoghi come fossero l'acqua degli assettati (stagione secca?), ma va bene così perché ogni sorso è una delizia per il palato! La musica del trailer (bella canzone di Wasis Diop) è assente durante il film ma ri-appare nei titoli di coda dando una potenza conclusiva notevole a quel che si è guardato, il tutto in un sottile brivido. Dall'odio all'amore, dalla guerra alla pace: una ricerca personale che prende dimensioni di universalità al-di-là dei precetti religiosi i quali alimentano il background narrativo, ma non sembrano di aiuto al protagonista nella propria evoluzione spirituale (stagione del perdono). Delicato e prodigioso.

venerdì 22 agosto 2008

Non ho paura!


La storia di “Non ho paura” (2003), film di G. Salvatores tratto dall'omonimo romanzo di Niccolò Ammaniti, si svolge negli anni 70 in un Sud Italia poco definito (in realtà Puglia), arido e quasi etereo nella sua leggiadra arretratezza.

La fotografia ci riveste un ruolo cruciale, specialmente in quei momenti in cui la luce solare, pura e nitida, dipinge metaforicamente un' onnipresente età dell’oro della fanciullezza, di un mondo che non c’è più o che forse non c'è mai stato come un certo Meridione divorato da un banditismo che impedisce lo sviluppo delle potenzialità ed ammazza l’infanzia stessa. Sarà un caso se la madre del giovane protagonista, Michele, ripete più volte al figlio: “Mi devi promettere che da grande andrai via da qua!” oppure se il padre spara al buio credendo di trovarsi davanti un altro bambino, quello da eliminare?

Già: Michele. Quello che, appunto, non ha paura e fa dunque figura di resistenza. Ingenuo, è coraggioso per essenza, quasi grazie a quella sua esagerata innocenza. Capisce e reagisce. E poi salva, eroicamente, un piccolo coetaneo nordico: Filippo.
Tra Michele, il piccolo contadino bruno e meridionale, e Filippo, il borghese milanese, biondissimo, rapito proprio dal padre del primo, nasce anche una splendida amicizia, anch'essa eterea: un'amicizia tra due angeli uniti da un’identica dolcezza frutto dell'affetto ricevuto dalle rispettive famiglie.

Le corse di Filippo e Michele nel giallo della calda estate durano poco, ma danno sostanza a tutto il contenuto di “Non ho paura”. Come quando le loro piccole mani vengono a chiudere il film, allora ci arriva in faccia la terribile realtà: noi, con le nostre paure adulte, le nostre infamie e le nostre politiche, l’infanzia... l'abbiamo veramente dimenticata e rinchiusa - come Filippo nella buca - in un angolo remoto del nostro cuore, insieme ai nostri sogni, ai nostri Sud e alle nostre potenzialità. Riusciremo a ritrovarla?

Un film allegorico e potente. Un invito a regredire per cercare l'amore vero e l'alleanza geografica.